mercoledì 20 luglio 2011

Divertissement.

Divertissement è il termine che mi viene in mente guardando le immagini delle sfilate della Haute Couture.
Blaise Pascal indicava il Divertissement come la piaga che rende gli uomini incapaci di guardare alla realtà delle cose, un uomo solo con se stesso che si ferma e si sofferma a pensare sente il vuoto e la sua essenza di essere mortale ma se è sempre in movimento si allontana dalla sua vera essenza, nel divertissement si distrae da se per non pensare alle brutture della propria esistenza.
Divertissement è un termine che deriva dal francese e significa divertimento e indica in particolare un' opera letteraria o artistica creata da un autore al solo scopo di autocompiacersi.
Nel divertissement in ambito stilistico e prettamente modaiolo non c'è ricerca, non c'è sperimentazione ma solamente un puro compiacimento stilistico.
A volte il divertissement è salutare se attraverso di esso si ricerca una propria grafia, un personale punto di vista, che serve a voltare pagina verso altre strade, ma quello che vedo nelle sfilate della Haute Couture è la più sconfortante sequela di divertissement che si possa vedere.
Solitamente dalla Haute Couture con le sue lavorazioni, i ricami e gli eccessi, nascono le suggestioni, le ispirazioni che guideranno le tendenze delle successive stagioni di pret-a-porter; ma nella Couture per l'autunno inverno prossimo i temi e le variazioni stilistiche di ogni casa di moda sono noiose e prive di quella ricerca che di solito le contraddistingue.
Givenchy è decisamente sottotono e gli abiti pur stupendamente ricamati e costruiti, sembrano una ripetizione di quelli presentati nelle passate stagioni.
Il filo conduttore delle sfilate di Alta moda è una iperdecorazione in stile classico che ricorda le citazioni poetiche dell'ultimo Alexander McQueen.
Sopratutto nelle uscite di Valentino è possibile notare tali similitudini e i richiami stilistici allo stilista inglese si notano subito dalla scelta dei colori, che è una quasi assenza di colori, il manierismo dei ricami e la scelta di truccare e pettinare le modelle come regine glaciali. Fredde silfidi appartenenti ad un popolo nordico e antico che ricordano più McQueen e sul finale anche un Armani di altri tempi, più che il Valentino del jet-set.
Il picco della noia si raggiunge vedendo Karl Lagerfeld per Chanel, sempre uguale, cita se stesso, più di quanto non lo faccia nella sua prima linea, infatti le modelle indossano guantini di pelle tagliati a metà sulle dita, alti stivali neri e lo sguardo è velato dal tulle nero. Propone abiti che di Mademoiselle Coco ormai non vi è nulla se non richiami ad alcune linee d'abito.
L'amato tailleur bouclè ha perso i taschini che lo caratterizzano e alla linea dritta della famosa giacca Lagerfeld sostituisce quella di una giacca con taglio in vita e baschina a corolla con spalle larghe (quasi anni '80) di diverse proporzioni e stili che non fanno altro che rendere confusionaria l'intera sfilata.
L'Orientalismo è un tema molto caro a re Giorgio che in questa collezione di Armani Privè lo ripropone portandolo per quanto gli è possibile, al limite dell'eccentrico.
Una misurata voglia di eccesso, che per Armani si denota dalla stampe che diventano macro, uso di più ricami e tessuti su una sola uscita, effetti di patchwork, acconciature maestose e colorate. Una sfilata elegante, lineare, con un filo conduttore ben preciso, un divertissement per Armani Privè, che non aggiunge nulla di nuovo a quella ricerca che è tipica dell'alta moda.
Sulla passerella di Dior sembra ancora di vedere Galliano e nelle prime uscite il completo da giorno in stile Dior è ravvivato dalle tinte fluo, tessuti fantasia in un mix che ricorda le illustrazioni di Antonio Lopez degli anni '80.
D'improvviso però la silhouette si spegne nei toni del sabbia, dell' oro e del bianco e quella collocazione anni '80 sparisce in un susseguirsi di uscite similissime l'una all'altra.
Sul finale le grandi acconciature alte si "sgonfiano " e lasciano il posto a criniere leonine in stile anni '70 in una confusione di abiti e stili, si accavallano anni '60, '70, nel finale gli abiti da sera sono ampi come quelli delle dame dell'ottocento fra loro spicca una citazione al pierrot, alla luna, alle stelle e chi più ne ha più ne metta.
Esercizi di stile o divertissement anche Dior non mi entusiasma e nel cercare conforto mi imbatto in Giambattista Valli, la sua collezione a parte qualche uscita rispetta a pieno i canoni dell'alta moda, ma anche qui ci sono citazioni a epoche e stili diversi.
Capisco che questo genere di divertissement è fatto per vendere profumi, cosmesi e tutti gli accessori che sono alla portata di un pubblico più ampio, ma secondo me così facendo si confondono stili e si disperdono dei messaggi che nell'alta moda è possibile fare e a me piacerebbe vedere.
Se anche in questo settore non si dice più nulla, allora ha ragione Valentino Garavani quando dice che non ci sono più i numeri, ne gli eventi per fare quel tipo di moda.
Se guardo indietro però vedo molta più gente oggi che fa l'alta moda di 10 o 15 anni fa, sopratutto molti più giovani che vorrebbero farla, e per quelli che la fanno non so se in realtà ci riescono a vivere.
Le clienti dell'alta moda sono rare perle contese dalle case di moda.
Le sartorie con tanto di première e uno stuolo di sarte e ricamatrici stanno scomparendo e nel complesso forse è anche giusto se si valuta la situazione mondiale dove le dovremmo preoccuparci di ben altro, ma se è stato giusto per Christian Dior presentare il New Look quando il mondo era in miseria, perchè la stessa cosa non è valida per oggi?
Credo che la risposta si debba ricercare nella globalizzazione che se da un lato accentua i caratteristiche di un popolo dall'altro si appiattisce la scelta dei prodotti e li amalgama il gusto.
Nell'insicurezza dei mercati, la richiesta internazionale e conti che devono per forza salire, i designer si rifugiano in una terra di nessuno, attingono agli archivi storici, ripescano fra gli abiti più venduti e l'unica via di fuga è in quell'immagine assodata e rassicurante che è tipica di chi del divertissement ha fatto un business.
A rischiarare l'orizzonte ci pensa però uno stilista, Martin Margiela che con la sua Maison cerca di portare l'alta moda su un'altro livello, più simile ad un happening artistico che a un business.
Il concetto di base delle sue sfilate è più vicino a Dior di quanto non lo sia stato Galliano.
I suoi abiti hanno la stessa forza di un pugno in faccia, così come deve esserlo stato ai tempi il completo bar alla fine degli anni '40.
La sua sfilata non ha nulla di accattivante a livello di immagine, ma le sue sfilate sono sempre un punto di riferimento per chi, come me, lavora nel settore.
La sperimentazione è il divertissement di Martin Margiela e la risultanza di questi è che prima o poi i segnali del suo stile, come quello di pochissimi altri che ne sono in grado, si ritrovano sulle passerelle del pret-a-porter e gli effetti, edulcorati dagli eccessi, si ripercuotono a catena su tutta una serie di prodotti, che vanno dalla moda al design, all'arte.
La sua collezione in prima battuta non è decifrabile, e forse neanche in seconda ma sicuramente fra le maison è quella che fa più parlare.
Nel divertissement la mia penna si e compiaciuta e ha detto tutto ora tocca ad ago e filo e se nell'attesa vorrete controbattere a quanto ho detto sarò lieta di intavolare una qualsiasi discussione purchè sia sempre vivo il divertissement.



^GIVENCHY


^CHANEL




^VALENTINO



^DIOR




^GIAMBATTISTA VALLI




^ARMANI PRIVE'




^MAISON MARTIN MARGIELA

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