lunedì 12 settembre 2011

LOGO NO-LOGO

La moda è da sempre il termometro dei tempi e dalla scelte vestimentarie di un popolo si può decifrare, sapendolo fare, il ruolo dell'individuo o di un gruppo di individui in una società.
Così come la massa usa una moda e determinate società hanno fatto proprie certe fogge vestimentarie è piacevole notare come all'interno di certi meccanismi di massa alcuni cercano di affermare la propria individualità misurando il loro grado di popolarità non attraverso il logo ma bensì il no-logo, questo è quello che cercano di fare gli stilisti di oggi come di ieri, in epoche passate infatti non si doveva usare un certo tipo di abito per non arrecare danno all'onore di una famiglia, in altre anche un gesto faceva discutere diventando tratto distintivo, di uno stile di vita o di status, ad esempio la donna in pantaloni e con mani in tasca, degli anni successivi la guerra, era una stranezza da molti vista come sfacciataggine e sinonimo di donna di malaffare per non parlare dell'ammiccare con la sigaretta, gesto che negli anni ruggenti era visto quasi come oscenità se compiuto da una donna ma Coco Chanel lo ha fatto di quel gesto un tratto distintivo del suo stile, incarnando quel tipo di donna in netto contrasto con lo stereotipo femminile dell'epoca così come appare in numerose foto, dove sicura e sfrontata si lascia andare in attegiamenti maschili.
La moda nell'epoca moderna è determinata dalla persona e l'abito un mezzo per esprimere la propria personalità.
Gli atteggiamenti determinanao il carattere delle successive rivoluzioni anche ideologiche e di costume avvenute in tutto il '900 fino al grande "buco nero" degli anni '80 dove ogni attegiamento, richiamo e carattere personale era sottomesso alla condizione di status, non che prima non lo fosse, ma gli anni '80 sono stati l'esempio lampante di come apparire era più importante di come si era in realtà.
Lo Status era allora e viene in larga parte percepito ancora oggi con l'esibizione del logo, la logomania che prevarica la persona e la personalità, annullandone i tratti caratteriali e trasferendo sul su di esso l'affermazione che vestendo con di loghi si è: 
1-economicamente benestanti.
2-si ha stile perchè si veste in un determinato marchio
3-si appartiene ad un gruppo e si conduce uno stile di vita che rimanda a quello del logo-marchio che si indossa.

La logomania negli anni '80 era fatta di simboli eclatanti e mai velati, sopratutto erano un vero e proprio inno alla forza, l'agilità fisica, la prestanza caratteriale e alla ricchezza materiale, la quale è stata poi sostituita da altri simboli di status con l'avvento del grunge.
All'inizio degli anni '90 il grunge ha dato una grande spinta verso l'essere piuttosto che l'apparire e stilisti come Marc Jacobs hanno colto il potenziale per nuovi mercati mentre altri, come Martin Margiela, hanno colto l'occasione per creare dei concetti.
La clientela che negli anni dello yuppismo vestiva Versace o Armani esibendo le Meduse e la celebre Aquila ad ali spiegate hanno capitolato per lo stile che si vive, lo stile che si ha perchè non si è ciò che si indossa ma ciò che si pensa e si fa.
L'abito è subordinato allo stile di vita che diviene esso stesso, nel paradosso nuovo status.
Il grunge e il rock sono i nuovi simboli di status e bisogna sapere cosa si vuole e chi si è, per sapere come si vuole apparire.
Gli interessi e gli stili di vita determinano lo stile dell'abito e non viceversa.
Nell'analizzare le dinamiche sociali, gli uffici di marketing si adattano, oggi gli abiti evocano stili di vita e sono loro che determinano lo status.
L'idea di non-status, consolidatasi prepotentemente dopo il libro-manifesto "No-logo" di Naomi Klein (2000), torna ancora utile se si analizzano le scelte fatte da alcuni marchi di distinguersi nel contenuto piuttosto che con un logo.
L'esempio lampante è Prada, la quale, pur avendo in negozio le linee continuative per chi desidera esibire il marchio, sceglie di vestire un'attegiamento piuttosto che proporre un brand e per assurdo una donna vestita Prada o Miu Miu (senza loghi ne marchi) è riconscibile tanto come una con i loghi dalla testa ai piedi.
Lo status è determinato da una idea di donna, la foggia d'abito e la materia sono il mezzo per evocare atmosfere.
Sulla stessa scia Gucci dove i capi con la doppia G sono relegati agli scaffali commerciali e l'immagine con cui è riconosciuto il marchio è priva dello stesso ma zeppa di richiami ad ideali e atteggiamenti che evocano stili di vita.
Ci sono abiti no-logo prepotenti come quelli caratterizzati da loghi, abiti senza logo ma che sono, di stagione in stagione, manifesto della casa di moda che li propone.
Accade così che alcuni capi indossati da personaggi noti prendono il sopravvento sulla star rendendo vano ogni attegiamento di caratterizzarsi.
Poi ci sono casi in cui carattere dell'abito e stile del personaggio si fondono bene insieme creando una sinergia che torna congeniale ad alcune case di moda per pubblicizzare i propri prodotti.
Come nel caso della campagna pubblicitaria Prada Uomo.
Un broncio, un'ammiccare, scene di vita privata, atteggiamenti senza piedistalli e allo stesso piano del pubblico, talvolta sottomessi sono gli scatti proposti da molti stilisti per pubblicizzare i propri prodotti e renderli, in tempi di crisi, meno lontani dal pubblico.
Si adatta la strategia di marketing alla ideologia di un popolo, che critico, non perdona gli eccessi della casta ma continua a sognare le grandi firme e il No-Logo diventa comunque una nuova firma da sfoggiare.


Sopra Coco Chanel.





Nelle foto sopra Kurt Cobain.




Marc Jacobs in un'articolo del 1993 sul Grunge e alcune foto "total look" Grunge da Vogue Italia dello stesso periodo.



Sopra due foto della collezione Martin Margiela Estate 1994, tema "retrospettiva" dal 1989-1993.



Sopra due foto Miu Miu Campagna pubblicitaria A/I 2011-12




Sopra alcune foto della campagna pubblicitaria Prada Uomo A/I 2011-12, testimonial l'attore Tobey Maguire.




Sopra due foto della campagna pubblicitaria Gucci per l'autunno/inverno 2011-12.

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